Nell'ambito del mondo del lavoro il rapporto tra datore di lavoro e lavoratore dipendente può essere interrotto anticipatamente da qualsiasi delle due parti o da entrambe, dando così vita a diversi forme giuridiche di interruzione del rapporto lavorativo.
Nel caso in cui vi sia una volontà da parte del datore di lavoro di interrompere il rapporto lavorativo, siamo di fronte ad un licenziamento. Nel caso invece, in cui sia il lavoratore a voler interrompere il rapporto lavorativo, saremo di fronte a delle dimissioni, le quali possono essere date sia per una volontà di cambio da parte del lavoratore, sia per giusta causa, e cioè quando siano le condizioni di lavoro a "obbligarlo" a dimettersi. Vi è anche la possibilità in cui vi sia un'interruzione con una volontà consensuale da parte di entrambe le parti.
Il lavoratore avrà diritto alla disoccupazione (NASPI) in caso di licenziamento da parte del datore di lavoro ed in caso di dimissioni per giusta causa. Non l'avrà nel caso in cui si sia dimesso volontariamente o vi sia una rescissione consensuale con il datore di lavoro.
La prima forma di interruzione del rapporto di lavoro è sicuramente data dal licenziamento. Il nostro ordinamento prevede varie forme di licenziamento, che si possono dividere in due grandi aree: il licenziamento disciplinare, e il licenziamento oggettivo. Vi sono poi altre forme di licenziamento, le quali però possono essere qualificate come discriminatorio, orale o nullo. Il licenziamento deve essere sempre motivato e deve essere sempre per iscritto.
Il licenziamento disciplinare è un tipo di licenziamento nel quale il rapporto di lavoro viene meno per motivi connessi dalla condotta del lavoratore così gravi da determinare la lesione del vincolo fiduciario che lo lega al datore di lavoro. Vi sono due tipi di licenziamento disciplinare: licenziamento per giusta causa e licenziamento per giustificato motivo soggettivo. La differenza tra questi due tipi di licenziamento è la gravità dell'atto posto in essere dal lavoratore. Si ritiene infatti che i mentre per un licenziamento soggettivo il comportamento del lavoratore sia grave, per giusta causa questo deve essere gravissimo e irreparabile.
In entrambi i casi, trattandosi della massima sanzione disciplinare, occorre rispettare i principi relativi all'irrogazione delle sanzioni disciplinari, e quindi: specifica contestazione degli addebiti, concessione del termine a difesa, audizione del lavoratore se questi lo chiede. In questa maniera si da il diritto al lavoratore di essere ascoltato, di preparare la sua difesa e di sapere il perché e quali sono i fatti che gli vengono contestati.
Il licenziamento per giusta causa si ha quando qualora si verifichi una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto di lavoro tra le parti. Infatti il licenziamento per giusta causa ha natura disciplinare e viene eseguito a seguito di gravissime e irreparabili mancanze e commesse dal lavoratore che dà luogo al cd. licenziamento in tronco, ovvero al licenziamento senza preavviso. In ogni caso il licenziamento dovrà essere proporzionato rispetto alla condotta del lavoratore.
L'elencazione delle ipotesi di giusta causa di licenziamento contenuta nei contratti collettivi ha valenza meramente esemplificativa e non esclude, perciò, la sussistenza della giusta causa per un grave inadempimento o per un grave comportamento del lavoratore contrario alle norme della comune etica o del comune vivere civile, alla sola condizione che tale grave inadempimento o tale grave comportamento, abbia fatto venire meno il rapporto fiduciario tra datore di lavoro e lavoratore. Ovviamente, il tutto dovrà essere corroborato da un giudice.
Alcuni tipi di licenziamento per giusta causa: 1) la condotta della lavoratrice che presenti una denuncia penale, poi rivelatasi del tutto infondata e calunniosa, nei confronti del datore di lavoro; 2) il comportamento del dipendente che, dopo aver ricevuto un telefono cellulare, espressamente utilizzabile "solo per ragioni di servizio", invii oltre 50.000 sms nell'arco di un biennio per ragioni esclusivamente personali; 3) l'arresto in flagranza di reato di un dipendente assente dal lavoro a seguito della richiesta di fruizione di un congedo per motivi familiari legittima; 4) la revoca (non il semplice ritiro o la sospensione) della patente di guida, disposta nei confronti dei conducenti che esercitano l'attività di trasporto di persone o cose, a causa della guida in stato di ubriachezza o dopo aver assunto droghe.
Il licenziamento per giustificato motivo soggettivo si ha sempre per un comportamento del lavoratore considerato grave per la prosecuzione del rapporto di lavoro. Per grave si intende un notevole inadempimento. Anche qua bisognerà far riferimento ai contratti collettivi per verificare la natura della gravità dell'atto del lavoratore. A differenza del licenziamento per giusta causa, il lavoratore dovrà ricevere un preavviso da parte del datore di lavoro. Il periodo del preavviso è determinato dai contratti collettivi, anche se è previsto per i contratti indeterminati a tempo pieno che vi siano 15 giorni di calendario, fino a cinque anni di anzianità presso lo stesso datore di lavoro, o di 30 giorni di calendario, oltre i cinque anni di anzianità presso lo stesso datore di lavoro. Nel caso in cui invece si tratti di contratti fino a 24 ore settimanali, il preavviso dovrà essere di 8 giorni di calendario, fino a due anni di anzianità o di 15 giorni di calendario, oltre i due anni di anzianità.
Alcuni tipi di licenziamento per giustificato motivo soggettivo: 1) lo scarso rendimento, ossia un'evidente violazione della diligente collaborazione dovuta dal dipendente a lui solo imputabile che comporti una notevole sproporzione tra gli obiettivi fissati dai programmi di produzione quanto effettivamente realizzato nel periodo di riferimento; 2) la condotta tenuta da un lavoratore addetto a mansioni di autista che, in servizio, non osservi le regole del codice della strada e in conseguenza di ciò provochi un sinistro da cui consegua un danno a carico della società datrice di lavoro: in tal caso il lavoratore risponde di tutti i danni conseguenti alla sua imperizia e negligenza; 3) lo svolgimento di altra attività lavorativa a favore di un terzo durante la malattia, se non viene dimostrata l'insussistenza della malattia o la compromissione (o il ritardo) della guarigione; 4) l'abbandono del posto di lavoro, accertato per il tramite di un investigatore privato.
Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo si ha quando vi sono dei motivi esterni al comportamento del lavoratore che influiscono sulla vita dell'impresa. Costituiscono, in particolare, giustificato motivo oggettivo la crisi dell'impresa, la cessazione dell'attività, o anche ragioni di attività produttiva, organizzazione del lavoro e il regolare funzionamento di essa. Può anche essere oggetto di licenziamento il venir meno di mansioni cui è assegnato il lavoratore, senza che sia possibile il suo ricollocamento in altre mansioni esistenti in azienda e compatibili con il suo livello di inquadramento.
Ai sensi dell'art. 3 della legge 604/1966, il licenziamento può essere intimato "per ragioni inerenti all'attività produttiva, all'organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa"
Si è in presenza quindi, di un tipo di licenziamento non dovuto al comportamento del lavoratore, ma a motivi derivanti dal funzionamento dell'impresa e del mondo economico. Le imprese infatti, hanno bisogno di competere sul mercato, e può capitare che per motivi oggettivi, non riescano a poter mantenere la forza lavoro. Il licenziamento è legittimo quindi, qualora venga soppressa l'unità produttiva del lavoratore, senza subire atti discriminatori. Il lavoratore inoltre, non può essere ricollocato all'interno dell'azienda ed ha ricevuto un preavviso congruo.
E' importante che l'azienda dimostri che effettivamente non vi sia altra possibilità per il lavoratore di essere ricollocato ad effettuare altre mansioni (ha il nome francese di repechage): se vi fosse l'effettiva possibilità di una ricollocazione e il lavoratore accettasse infatti un demansionamento, l'azienda dovrà ricollocare il lavoratore all'interno della stessa.
La riforma Fornero del 2012 (Legge n.92/2012) ha ricondotto all'area del licenziamento per motivi oggettivi anche le ipotesi del licenziamento per superamento del periodo di comporto, ossia il diritto al lavoratore a mantenere il posto di lavoro, e del licenziamento per inidoneità fisica o psichica del lavoratore.
Un'altra forma di licenziamento è quello collettivo. Questo si ha quando un'impresa, per motivi di crisi, di ristrutturazione aziendale o di chiusura dell'attività, effettua una importante riduzione del personale. I licenziamenti collettivi sono possibili soltanto in casi specifici individuati dalla legge e unicamente dopo la conclusione di un complesso procedimento al quale prendono parte anche le rappresentanze sindacali. Il datore di lavoro non è libero nella scelta dei lavoratori da licenziare dal momento che la legge stabilisce dei criteri ai quali questo deve attenersi nel predisporre la lista dei dipendenti interessati. I criteri sono previsti dalla contrattazione collettiva. Se questi nello specifico non prevedono nulla la legge n. 223/1991 stabilisce dei criteri generali in base ai quali l'individuazione dei lavoratori da licenziare deve avvenire considerando:
I lavoratori licenziati collettivamente sono inseriti nelle liste di mobilità così da favorire l'ingresso dei lavoratori nel mondo del lavoro. Inoltre, i lavoratori inseriti in questa categoria, hanno diritto ad una indennità da lavoro.
Oltre ai licenziamenti elencati in precedenza vi sono altri tipi di licenziamento nel nostro ordinamento che sono considerati tutti nulli, e quindi, non produrranno effetti giuridici. Il primo e più importante è il licenziamento discriminatorio. Tipico esempio di licenziamento discriminatorio può essere quello effettuato per motivi politici o per motivi religiosi. In generale, è nullo ed è previsto il reintegro per ogni licenziamento effettuato per motivi di razza, religione, politica, orientamento sessuale e convinzioni personali.
Altro tipo di licenziamento è quello ritorsivo, ossia il licenziamento che costituisce l'ingiusta e arbitraria reazione a un comportamento legittimo del lavoratore colpito o di altra persona ad esso legata e pertanto accomunata nella reazione, con conseguente nullità del licenziamento, quando il motivo ritorsivo sia stato l'unico determinante.
Un'altra forma di licenziamento è quella effettuata nei confronti di una madre in maternità che la legge tutela attraverso il divieto di licenziamento dall'inizio della gravidanza sino al compimento di un anno di età del figlio, l'obbligo di convalidare le dimissioni presentate in questo stesso periodo avanti la Direzione Provinciale del Lavoro, nonché il diritto a conservare il proprio posto di lavoro e a rientrare nella stessa unità produttiva cui era adibita precedentemente, con le stesse mansioni.
Il licenziamento orale, ossia quando il lavoratore viene licenziato senza ricevere la lettera di licenziamento e senza che vi sia nessun atto formale da parte del datore di lavoro, è altresì proibito e considerato nullo.
In tutti questi casi, il lavoratore avrà diritto ad essere reintegrato nella stessa posizione in cui lavorava prima del licenziamento, con il pagamento della retribuzione non percepita dal momento del licenziamento, oppure, richiedere 15 mensilità della retribuzione globale di fatto (per i contratti stipulati prima del 7 marzo 2015), oppure sull'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto (per i contrati stipulati dopo il 7 marzo 2015). E' previsto anche il risarcimento del danno da parte del datore di lavoro.
La lettera di licenziamento, come detto, deve indicare i motivi che portano il datore a licenziare il lavoratore. Il lavoratore, una volta ricevuta la lettera, avrà quindi 60 giorni per impugnare il licenziamento e contestarlo. Una volta effettuata la comunicazione al datore di lavoro, avrà ulteriori 180 giorni per poter provare la conciliazione o ricorrere presso il giudice del lavoro.
Dall'entrata in vigore del Jobs Act (D.lgs 23/2015), è previsto un nuovo tipo di tutele per i lavoratori assunti dopo il 7 marzo 2015. Si è aperto quindi il fronte verso due tipi differenti di tutele, una per chi è stato assunto prima della riforma, e l'altra per tutti i lavoratori assunti dopo la data sopra indicata.
Questa differenza di regole valgono per i licenziamenti disciplinari e licenziamenti oggettivi, mentre per quanto riguarda i licenziamenti discriminatori al paragrafo precedente le norme sono uguali per tutti i lavoratori.
Per i lavoratori assunti prima del 7 marzo 2015, in caso di licenziamento disciplinare illegittimo, o in caso di licenziamento oggettivo nel caso in cui non ne ricorrevano i presupposti, si può fare riferimento ancora all'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori (legge n.300/70), dove il lavoratore, qualora ricorrano i presupposti previsti dalla legge, può ancora essere reintegrato nell'azienda. La riforma Fornero del 2012 ha però allargato il campo alla natura indennitaria del licenziamento che è stata poi rimarcata dallo jobs act del 2015. Infatti, per i lavoratori assunti dal 7 marzo 2015, non si applicherà più l'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori ma il D.lgs 23/2015. Il reintegro si avrà solamente in caso di licenziamento discriminatorio, o quando il fatto per cui il lavoratore è stato licenziato, è insussistente, ossia il lavoratore non ha commesso il fatto materiale. Per tutti gli altri casi, si prevede un'indennità non inferiore alle 4 mensilità e non superiore alle 24.
Nel caso di imprese con meno di 15 dipendenti, non si prevede il reintegro con l'eccezione del licenziamento discriminatorio o nullo.
Nel caso di licenziamento collettivo e violazione dei criteri di scelta, di nuovo il lavoratore potrà avere un indennizzo tra le 4 e le 24 mensilità.
Le dimissioni costituiscono l'atto volontario unilaterale, con cui il lavoratore comunica al datore di lavoro la sua volontà di interrompere il rapporto lavorativo.
Ai sensi dell'articolo 2118 del Codice Civile il lavoratore deve rispettare il preavviso previsto dai Contratti Collettivi. In ogni caso il periodo fissato dalla legge, per i contratti a tempo pieno è di 8 giorni di calendario, fino a cinque anni di anzianità presso lo stesso datore di lavoro, o di 15 giorni di calendario, oltre i cinque anni di anzianità presso lo stesso datore di lavoro. Nel caso in cui invece si tratti di contratti fino a 24 ore settimanali, il preavviso dovrà essere di 4 giorni di calendario, fino a due anni di anzianità o di 8 giorni di calendario, oltre i due anni di anzianità. Durante questo arco temporale il rapporto continua regolarmente: il dipendente è quindi tenuto a osservare tutte le regole fissate dal datore per lo svolgimento dell'attività. Se il lavoratore non rispetta il preavviso o si rifiuta di lavorare durante il periodo previsto, è tenuto a risarcire il datore mediante un'indennità equivalente all'importo della retribuzione che sarebbe spettata per il periodo di preavviso (c.d. mancato preavviso). Salva la stipula di un apposito accordo liberatorio, il datore che impedisce al lavoratore di prestare il preavviso lavorato è tenuto a pagare l'indennità (c.d. indennità sostitutiva del preavviso).
Nonostante le dimissioni siano una prerogativa del lavoratore, non era inusuale, prima del 2012, di avere delle dimissioni cd "in bianco". Questo tipo di dimissioni, presentava purtroppo il fenomeno attraverso cui il datore di lavoro, al momento dell'assunzione o comunque durante il rapporto lavorativo, faceva firmare il foglio di dimissioni al dipendente, lasciando lo spazio della data in bianco, così da poter ricattare il lavoratore e fargli accettare delle decisioni che altrimenti non avrebbe accettato.
Nel 2012 per arginare il fenomeno di questo tipo di dimissioni si è provveduto a modificare disciplina delle dimissioni e della risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, prevedendo un'apposita procedura di convalida, con modalità atte a garantire la genuinità della manifestazione di volontà del lavoratore. Ulteriori modifiche sono arrivate dal Jobs Act del 2015.
Da marzo 2016 infatti, non è più sufficiente che il lavoratore comunichi al datore di lavoro le proprie dimissioni. La nuova normativa prevede infatti che le dimissioni si possano considerare efficaci solo laddove venga completata anche una nuova procedura telematica, introdotta per consentire al dipendente di comunicare la propria decisione e tutelarsi così da eventuali costrizioni o forzature. In particolare, la comunicazione deve avvenire via web attraverso e trasmessi al datore di lavoro e alla Direzione territoriale del lavoro competente.
Sono escluse, alcune categorie dei lavoratori dalla presentazioni telematica, come i lavoratori nel periodo di prova, quelli del settore pubblico, i lavoratori domestici e quelli marittimi. Menzione particolare meritano le dimissioni delle lavoratrici in maternità. La risoluzione consensuale del rapporto o la richiesta di dimissioni, presentate dalla lavoratrice durante il periodo di gravidanza e dalla lavoratrice (o dal lavoratore) durante i primi tre anni di vita del bambino o nei primi tre anni di accoglienza del minore adottato o in affidamento, devono essere convalidate dal servizio ispettivo del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali competente per territorio.
Il lavoratore ha 7 giorni di tempo per revocare le dimissioni telematiche.
Le dimissioni per giusta causa si hanno quando vi è comportamento da parte del datore di lavoro che non permettono la prosecuzione, neppure provvisoria, del rapporto di lavoro. La valutazione dell'effettività della gravità dell'inadempimento del datore di lavoro ai suoi obblighi contrattuali è rimessa al giudice. La comunicazione del recesso per tale motivazione deve essere formulata in maniera chiara e univoca da parte del lavoratore. La giusta causa di dimissioni deve essere invocata dal lavoratore contestualmente alla comunicazione del recesso, con la conseguente immediata interruzione dell'attività lavorativa. Sono equiparate alle dimissioni per giusta causa, con conseguente assoggettamento alla medesima disciplina, le dimissioni presentate dalla lavoratrice entro il primo anno di vita del figlio.
Il lavoratore, per giusta causa, può recedere dal contratto prima della scadenza del termine, se il contratto è a tempo determinato, o senza preavviso, se il contratto è a tempo indeterminato. Se il contratto è a tempo indeterminato, al lavoratore che recede per giusta causa compete l'indennità sostitutiva di preavviso.
Il lavoratore avrà diritto alla disoccupazione in quanto le dimissioni per giusta causa si considerano come un'interruzione non volontaria del rapporto di lavoro.
Alcuni dei motivi per cui il lavoratore può presentare le dimissioni per giusta causa: mancato versamento dei contributi INPS, INAIL; molestie sessuali nei confronti del dipendente; mobbing, ovvero il crollo dell'equilibrio psico-fisico del lavoratore a causa di comportamenti vessatori di superiori o colleghi; trasferimento del lavoratore presso altra sede senza motivo; variazioni importanti delle condizioni di lavoro a seguito di cessione dell'azienda ad altre persone dell'azienda (per persone s'intende sia fisiche che giuridiche); richiesta al dipendente di condurre comportamenti illeciti da parte del datore di lavoro; peggioramento nelle mansioni lavorative; mancato pagamento dello stipendio; mancato pagamento del TFR.
Oltre che con il licenziamento e con le dimissioni dunque, il contratto di lavoro può sempre essere sciolto per mutuo consenso secondo l'art 1372 c.c. Tale situazione si verifica quando entrambe le parti riconoscono che è venuta meno la reciproca convenienza alla prosecuzione del rapporto contrattuale.
Nell'accordo di rescissione le parti sono libere di stabilire le clausole che ritengono più opportune, come per esempio la decorrenza degli effetti dell'accordo che può essere immediata o differita. Se la decorrenza è immediata, il rapporto cesserà alla data di sottoscrizione dell'accordo, mentre in caso di decorrenza differita le parti convengono che nel periodo intercorrente tra la sottoscrizione dell'accordo e la data di cessazione il dipendente lavori regolarmente ovvero si collochi in aspettativa o goda delle ferie.
L'accordo di risoluzione può prevedere l'impegno del datore ad erogare somme aggiuntive rispetto a quanto dovuto per effetto della cessazione del rapporto, il cosiddetto "incentivo all'esodo", ossia una somma che viene riconosciuta al lavoratore per andarsene e favorire il turn-over aziendale.
Come per le dimissioni, si è intervenuto legislativamente su questo istituto sia nel 2012 che nel 2015. Nel 2012 per arginare le dimissioni in bianco, si è modificata anche la disciplina della rescissione consensuale, la quale ha subito poi dei ritocchi con il Jobs Act.
Per avere una rescissione consensuale valgono esattamente le stesse regole previste per le dimissioni, ossia che anche la rescissione si dovrà presentare in via telematica, e riguarderà le stesse categorie di lavoratori previste per le dimissioni. Anche per le madri in maternità e/o con figlio fino ai 3 anni, varranno le stesse regole.
Il lavoratore avrà 7 giorni per provvedere alla revoca della rescissione consensuale, una volta che questa è stata presentata telematicamente.
Legge 15 luglio 1966 n. 604, "Norme sui licenziamenti individuali."
Legge 23 luglio 1991, n. 223, "Norme in materia di cassa integrazione, mobilita', trattamenti di disoccupazione, attuazione di direttive della Comunità europea, avviamento al lavoro ed altre disposizioni in materia di mercato del lavoro."
Legge 20 maggio 1970, n. 300, "Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell'attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento."
D. Lgs. 15 giugno 2015, n. 81, "Disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni, a norma dell'articolo 1, comma 7, della legge 10 dicembre 2014, n. 183"
Legge 28 giugno 2012, n. 92, "Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita."
D. Lgs. 4 marzo 2015, n. 23, "Disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183."
Art. 2118 Codice Civile
Art. 1372 Codice Civile
Art. 2119 Codice Civile